Verso
la metà del III millennio a.C., i "Primi
Italici", popolazioni di provenienza indoeuropea, si
stabilirono nella parte centro-meridionale tirrenica della nostra
Penisola, spingendosi fino alla Sicilia. Il principale di questi
popoli protoitalici (Latini)parlava
il dialetto latino e occupava l'Etruria meridionale e l'odierno
Lazio, lungo il basso corso del Tevere.
I
"Secondi Italici" si
stabilirono nell'Italia centrale nel I millennio a.C.: dapprima
genti di lingua osca, seguite da altre di lingua umbra (Umbri).
Ancora
avvolta nel mistero è l'origine degli Etruschi,
che, secondo una leggenda, giunsero dall'oriente: il re di
Lidia, non potendo più sfamare i suoi sudditi a causa di una
lunga carestia, avrebbe affidato metà del suo popolo al figlio
Tirreno perché cercasse nuovi territori in cui farlo prosperare.
Costoro, che si autonominavano
"Rasenna", dal nome di un loro capo , sarebbero
sbarcati nell'odierna Toscana, insediandosi tra gli Umbri e i Latini, che li chiamavano
anche "Etrurii" o "Tusci". Per i Greci,
invece, essi erano i "Tirreni".
Una
diramazione degli Umbri si stabilì nella conca di Rieti, dando
origine alla comunità dei Sabini.
La
necessità di assicurarsi sempre nuovi territori per garantirsi la
sopravvivenza, fece nascere la pratica rituale del "Ver
Sacrum" ("Primavera Sacra"), mediante la
quale, come avrebbero fatto, secondo Erodoto, gli Etruschi, per
far fronte alle difficoltà derivanti da carestie, guerre ed altre
calamità, gruppi di giovani venivano consacrati ad una divinità
e destinati ad un esodo forzato verso nuovi territori.
Fu,
probabilmente, in tal modo che da queste popolazioni si staccarono
sempre nuovi nuclei che si stabilirono:
tra
i Sabini e i Latini (Aequi ed Aequicoli);
nel Lazio (Volsci); a nord del
Tronto (Picentes); fra il
Tronto e il Gran Sasso (Praetutii);
tra i Pretuzi e l'Aterno (Vestini);
tra il Morrone, la Maiella e il Sirente, nel territorio
attraversato dal medio corso dell'Aterno (Paeligni);
intorno al Lago Fucino (Marsi);
nel Chietino (Marrucini); tra i
Marrucini e il Biferno (Frentani);
nella zona di Alfedena (Caraceni);
nel Molise (Pentri); in
Campania (Oschi o Campani); a
nord-ovest del Gargano (Apuli);
nel Beneventano (Hirpini); in
Basilicata (Lucani); in
Calabria (Brutii).
L'origine
di ciascuna di queste popolazioni può essere distinta sulla base
delle differenze linguistiche: come la lingua
etrusca e quella latina,
anche l' umbra e la picena
non erano assimilabili a quelle degli altri Italici; invece, i
Pretuzi parlavano un dialetto
"sud piceno";
dialetti oschi erano
parlati da Frentani, Caraceni, Pentri, Irpini, Apuli, Campani,
Lucani, Brutii; mentre, Sabini, Vestini, Marrucini, Peligni, Marsi,
Equi ed Equicoli parlavano dialetti
sabellici, che presentavano caratteri attinti sia
dall'umbro sia dall'osco.
Alle
diversità linguistiche facevano riscontro atteggiamenti politici
diversi: le popolazioni sabelliche nutrivano una profonda
aspirazione all'unione politico-sociale con le altre entità
etnico-linguistice; invece in quelle osche era fortemente radicata
l'inclinazione all'indipendenza e al separatismo.
Nei
secoli V e IV a.C., quasi tutti gli Italici di lingua osca si
erano uniti in una confederazione detta "Lega
Sannitica" e perciò venivano genericamente denominati
"Sanniti".
Nello
stesso periodo, le città laziali formarono una "Lega
Latina" sotto l'egemonia di Roma,
che si rafforzò con la presa dell'antagonista Veio (396 a.C.) e
fu, solo temporanemente, messa in pericolo, circa dieci anni dopo,
dall'invasione dei Galli guidati da Brenno.
Ambedue
le leghe ambivano ad impossessarsi del territorio che le separava,
la Valle del Liri, ma , poiché si
temevano reciprocamente, pervennero ad una "societas",
che consisteva in un
trattato di non-aggressione.
Fatalmente,
però, si giunse alla prima guerra
sannitica (343-341), che si concluse con un compromesso: la spartizione del territorio conteso.
Nel
327 scoppiò la seconda guerra
sannitica, durante la quale le popolazioni sabelliche
concessero all'esercito romano di attraversare i loro territori
per prendere i Sanniti tra due fuochi. Solo i Vestini si opposero
e, per questo, furono attaccati e sconfitti.
Nel
321, i Romani subirono l'umiliazione delle "Forche
Caudine", ma, nel 304,
nonostante l'alleanza stabilitasi tra Sanniti,
Etruschi ed Equi, la guerra si concluse con la vittoria dei
Romani, che, impossessandosi della Campania e della Puglia,
compivano l'accerchiamento del Sannio. Inoltre, Roma stabilì accordi
di alleanza con Marsi, Marrucini, Peligni, Frentani e, in
seguito con i Piceni (303) e
con i Vestini (302). Roma fondò anche delle colonie nei
territori degli Equicoli (Alba Fucens)
e degli Equi (Carsioli).
Nel
298, Sanniti, Etruschi e Galli si allearono per contrastare
l'espansione romana e diedero inizio alla terza
guerra sannitica, conclusasi nel 290 con una nuova vittoria
di Roma, che si impossessò di gran parte della regione dei
Pretuzi e fondò, nella parte restante, la colonia di Hatria.
I
Sanniti provarono ancora ad opporsi a Roma alleandosi a Taranto,
che aveva ottenuto l'aiuto di Pirro, re dell'Epiro. Anche la guerra
tarentina (282-272) fu vinta dai Romani, che sciolsero la
Lega Sannitica, stabilirono trattati bilaterali con le singole
popolazioni e trasformarono Aesernia (Isernia) in loro colonia.
Nel
269 furono i Piceni ad opporsi allo strapotere di Roma, che aveva
fondato la colonia di Ariminium (Rimini) alle loro spalle. Anche
nella guerra picentina, la
vittoria arrise a Roma, che si impossessò del Piceno, lasciando
l'indipendenza soltanto ad Asculum,
e fondò le colonie di Firmum Picenum e Castrum Novum.
Roma
era ormai padrona dell'Italia centro-meridionale, le cui
popolazioni cominciarono ad assumere la lingua, la cultura e
l'organizzazione politico-economica e militare
della vincitrice.
I
nuovi Socii di Roma ebbero l'occasione di dimostrare la loro lealtà
quando, nella seconda guerra punica
(218-202), Annibale tentò di isolare l'Urbe dai suoi alleati per
poterne avere ragione.
Livio
riferisce che, nel 217, Annibale "…devasta
il territorio pretuziano e atriano e, subito dopo, i Marsi, i
Marrucini e i Peligni e la parte più vicina all'Apulia, intorno
ad Arpi e a Luceria",
ma, nonostante questo,i confederati italici resistono: solo dopo
la disfatta romana di Canne (216), c'è la defezione dei Sanniti,
ad eccezione dei Pentri.
Anche
due anni dopo, quando l'esercito romano, guidato dal console C.
Claudio Nerone, partì dall'Apulia per andare nel Piceno ad
affrontare i Cartaginesi condotti da Asdrubale, fu determinante
l'organizzazione dei rifornimenti da parte delle popolazioni
italiche: "…furono inviati (dei
messi) nei territori larinate, marrucino,
frentano, pretuziano, attraverso i quali (il console
Claudio Nerone) si accingeva a
transitare con l'esercito, (a predisporre)
che tutti, dalle campagne e dalle città, portassero, lungo la
via, dei viveri già pronti per le truppe, e conducessero cavalli
e giumenti, in modo che per i soldati stanchi vi fosse abbondanza
di mezzi di trasporto" (Livio).
Livio
riferisce anche che, nel 205, quando P. Cornelio Scipione chiese
soldati per andare ad attaccare i Cartaginesi in Africa, dove
avrebbe riportato la decisiva vittoria di Zama (202):
"I popoli dell'Umbria e, oltre a questi, i Nursini,
i Reatini, gli Amiternini e tutto il territorio sabino promisero
soldati; Marsi, Peligni e Marrucini si arruolarono in gran numero
per la flotta".
Strabone
riassume così il ruolo storico dei popoli italici:
"Questi popoli
sono piccoli ma valorosissimi, e
spesso mostrarono questo loro valore ai Romani, dapprima quando
guerreggiarono (contro di loro),
in un secondo momento quando combatterono al loro fianco, in un terzo tempo quando… intrapresero la guerra chiamata
Marsica".
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