Sul
finire del II Sec. a.C., nacque negli Italici l’aspirazione alla
piena cittadinanza ed alcuni uomini politici romani la favorirono,
probabilmente non tanto in nome di ideali democratici quanto
temendo che la povertà estrema e la conseguente contrazione
demografica della classe contadina romana ed italica finissero col
privare Roma dell’apporto di così valenti soldati.
Era,
infatti, avvenuto che la “nobilitas”, che già possedeva i
latifondi, si era gradualmente impossessata anche dell’ “ager
publicus”, cioè di quei terreni conquistati dal popolo che,
secondo la legge Licinia- Sestia del 367 a.C. (“Lex de modo
agrorum”), mai abrogata, ma nemmeno applicata, potevano essere
assegnati ad ogni cittadino fino ad un possesso massimo
individuale di 500 iugeri (circa 126 ha).
L’indebita
appropriazione dell’agro pubblico, che era stato abusivamente
occupato ( da nobili sia
romani sia italici)
per lotti molto superiori ai 500 iugeri, rischiava di far
scomparire la classe dei piccoli contadini. I pochi rimasti a
coltivare piccoli appezzamenti di loro proprietà stentavano a
trarne il minimo indispensabile per sopravvivere e non potevano più
integrare le magre risorse lavorando come braccianti per i ricchi
latifondisti, i quali preferivano servirsi del lavoro degli
schiavi, più conveniente di quello dei plebei. Ciò favoriva la
prolificità degli schiavi e, ad un tempo, il decremento
demografico dei plebei, che erano il serbatoio principale a cui
attingeva l’esercito.
Da
questa situazione fu ispirata la legge agraria prposta nel 133
a.C. dal tribuno della plebe Tiberio
Sempronio Gracco, nipote di Scipione l’Africano. La
“Lex Sempronia agraria” mirava a recuperare gran parte
dell’agro pubblico e ad assegnarlo, in lotti di 30 iugeri (circa
7,5 ha), ai nullatenenti romani ed italici che, nonostante il
prezioso contributo di sangue richiesto loro da Roma, non avevano
che “l’aria, la luce e niente
altro”, come disse Tiberio in un discorso.
L’aver
leso gli interessi economici dei possessori di agro pubblico;
l’aver dimostrato al popolo che l’Assemblea della Plebe era
l’unica depositaria della sovranità della Repubblica Romana e
poteva legiferare ignorando il Senato; insieme al favore
dimostrato per gli Italici contribuirono a suscitare la reazione
rabbiosa e violenta del mondo politico romano: un gruppo di
senatori, guidati dal Pontefice Massimo Scipione Nasica,assalirono
i graccani ed uccisero Tiberio.
Nel
125 a.C., il console Marco Fulvio
Flacco propose la concessione della cittadinanza romana
agli Italici, ma il Senato si oppose fermamente.
Nel
123 a.C., Caio Sempronio Gracco,
eletto tribuno insieme a M. Fulvio Flacco, riprese l’azione
politica del fratello Tiberio per costruire una Repubblica nella
quale fosse minore il peso politico del Senato e maggiore quello
del popolo, e per migliorare le condizioni politiche ed economiche
degli Italici.
Con
una nuova legge agraria, fece disporre assegnazioni di agro
pubblico nel Sannio, in Apulia, in Lucania e nel Piceno; quindi
propose di concedere il diritto di voto agli Italici che avessero
preso la residenza a Roma.
Anche
Caio pagò per essersi opposto al Senato di Roma: fu costretto a
farsi uccidere da uno schiavo. Poco prima era stato catturato ed
ucciso il suo collega Flacco, amico suo e degli Italici.
Nel
91 a.C., venne ucciso anche Marco
Livio Druso, un altro tribuno che proponeva la concessione
della cittadinanza agli Italici, i quali, segretamente, gli
giurarono fedeltà e cominciarono a stringere alleanze per
opporsi, se necessario, militarmente a Roma.
Dopo
tanto sangue versato come Socii (Alleati) di Roma per quella che
sentivano ormai come patria comune e dopo le lunghe e
inconcludenti trattative politiche per la concessione della
civitas, accadde l'inevitabile, come riferisce Velleio Patercolo
(I secolo d. C.):
"La
morte di Druso fece scoppiare la guerra italica, che già da prima
cominciava a sollevarsi. Infatti, sotto il consolato di L. Cesare
e P. Rutilio, 120 anni fa (91
a.C.),
tutta l'Italia,
dopo che quel male era sorto dagli Ascolani (giacché avevano
ucciso il pretore Servilio e il legato Fonteio) e,
successivamente, continuato dai Marsi, era penetrato in tutte le
regioni, prese
le armi contro i Romani. Di tale
guerra, come fu terribile la sorte, così fu giustissima la causa:
chiedevano, infatti, quella cittadinanza di cui difendevano l'imperium
con le armi. …Questa guerra portò via più di trecentomila dei
giovani italici".
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