Nel corso della storia furono definiti "briganti" coloro
che, da soli o in bande, anche con scopi diversi, agivano al di fuori
delle leggi attentando a mano armata alle persone e alle proprietà,
compiendo vendette, rapine e violenze di ogni genere. Il fatto che molto
spesso godessero delle simpatie delle classi più povere e oppresse, da cui
d'altra parte traevano alimento, porta a concludere che il più delle volte
non si trattava di violenza gratuita di gente refrattaria alle leggi, ma
di una reazione motivata ad una situazione di miseria ed oppressione
insostenibili. Ciò si verifica più facilmente in concomitanza con momenti
di crisi politica dovuta ad una fragilità delle strutture dello stato,
determinata da cambiamenti di potere ai vertici o da grandi sommovimenti
interni. Particolare importanza nella storia italiana riveste il
Brigantaggio che imperversò nel Mezzogiorno dopo l'annessione allo stato
unitario: non solo per l'estensione del fenomeno e la gravità della
situazione di disagio sociale che esso mise in luce, ma anche perché il
modo con cui esso fu affrontato dalla classe dirigente sabauda contribuì a
provocare quella mancata integrazione delle plebi rurali meridionali nel
nuovo stato che si sarebbe protratta a lungo costituendo uno dei maggiori
problemi sociali dell'Italia unita. Se, come si dirà più avanti, già nei
secoli precedenti il Mezzogiorno era stato teatro di un Brigantaggio
endemico (diffuso peraltro anche in varie zone dell'Italia centrale m
particolare nella Campagna Romana - e settentrionale) che aveva avuto fasi
di recrudescenza in occasione di particolari momenti di crisi economica e
politica, l'origine del Brigantaggio postunitario va però vista in modo
contestuale al compimento dell'unità nazionale. Ne furono infatti causa le
difficoltà politiche incontrate dal governo nazionale nelle province
meridionali, la debolezza dei legami che queste ebbero con la rivoluzione
nazionale, accentuata dal contrasto tra liberali e democratici, ma
soprattutto l'esito sanguinoso ed anarchico di una mancata rivoluzione
agraria. Il Mezzogiorno nel sec. XIX era una grande "disgregazione
sociale" (Gramsci) che affondava le sue radici nel secolo precedente, col
processo di erosione del feudalesimo, di privatizzazione e concentrazione
della terra, di avanzata del capitalismo. Ne conseguiva uno squilibrio tra
la disponibilità di terra e il numero dei contadini che si sarebbe potuto
risolvere solo con la creazione di un ceto vitale di contadini proprietari
attraverso una rivoluzione o una riforma agraria. Ma ciò era problematico
perché le terre appartenevano non solo alla nobiltà, ma anche alla
borghesia ed alla nobiltà imborghesita che, nell'ottobre del 1860,
rappresentavano quelle forze che si schierarono per l'annessione al regno
sabaudo, ritenendo che ormai questa fosse l'unica via, assai più sicura di
un'ipotetica restaurazione borbonica o di una soluzione autonomistica, per
farla finita con la rivoluzione. Questo blocco fra borghesia agraria
meridionale e borghesia liberale piemontese rese impossibile l'attuazione
del progetto democratico che era per la continuazione della guerra
rivoluzionaria fino alla liberazione di Roma, e la formazione di un
assemblea costituente nazionale che avrebbe dato al nuovo stato unitario
una struttura democratica. Avrebbe potuto esservi un'alternativa a questa
situazione? La vittoria delle forze garibaldine democratiche nel 1860-61
avrebbe portato ad esiti diversi? E assai probabile che il malcontento dei
contadini ci sarebbe stato anche se i democratici garibaldini non fossero
stati esautorati dai piemontesi, dal momento che Garibaldi mirava a
condizionare ma non ad impedire l'estensione al Sud di casa Savoia;
inoltre non voleva una rivoluzione agraria: tipico è il caso di Bronte dove fece
reprimere con spietata violenza una sollevazione contadina. Ma è anche
probabile che una collaborazione fra forze moderate e garibaldine avrebbe
evitato nelle campagne quel vuoto di potere che invece ci fu, e il
fenomeno del Brigantaggio non avrebbe avuto proporzioni così tragiche. Se
la prima fase del programma unitario era l'annessione, la seconda, data la
relativa esiguità delle forze sociali su cui si basava il nuovo regno
d'Italia, fu l'accentramento dell'ordinamento politico-amministrativo; per
il Mezzogiorno questo aveva il duplice scopo di rimediare all'arretratezza
civile di quelle regioni e di emarginare le forze democratiche
garibaldine. La conseguenza fu di favorire l'instaurarsi di un rapporto
fra Nord e Sud di tipo imperialistico, anche se il Sud faceva parte
dell'area dell'economia capitalistica e anche se gli studi più recenti
tendono a ridimensionare l'affermazione che lo sviluppo del Nord sia stato
possibile grazie allo sfruttamento del Sud. Ciò non toglie comunque nulla
al fatto che un aspetto dell'imperialismo è anche dato dalla sola presenza
di una potenza capitalistica che, in quanto tale, impedisce al paese
arretrato di uscire dal sottosviluppo. Crisi sociale ed economica, dunque,
che esplode quando la crisi diventa anche politica: lievita così il
fenomeno del Brigantaggio che durò per circa quattro anni, dal 1861 al
1865 (una delle prime più importanti azioni fu quella dell'aprile 1861 in
Basilicata, quando la banda di Crocco di Rionero
organizzò l'insurrezione dei contadini di Lagopesole e dei paesi vicini
spingendosi fino a "conquistare" Venosa e Melfi). Già altre volte, nei
tempi immediatamente precedenti, il malcontento dei contadini meridionali
era esploso in rivolte in cui, alla protesta sociale, si era aggiunto un
orientamento politico reazionario: era successo nel 1799 quando
l'insurrezione sanfedista aveva travolto la repubblica giacobina, ma anche
nel periodo napoleonico quando nelle campagne calabresi imperversò la
guerriglia antifrancese. Adesso come allora il Brigantaggio rivelava nel
Mezzogiorno una società arretrata, dominata da un'indistinta esigenza di
trasformazione che non sapeva però esprimersi ideologicamente. E ancora
una volta fu politicamente strumentalizzato: da Roma la spodestata
monarchia borbonica, con l'appoggio del governo pontificio e di gruppi di
legittimisti di altri paesi, si sforzò di alimentare il Brigantaggio e di
dargli un indirizzo politico reazionario, poggiandosi sia su agenti
appositamente inviati, sia sui militari del disciolto esercito napoletano,
rimasti sul luogo ma sbandati. Difficili, però, furono i rapporti tra gli
inviati borbonici ed i maggiori capibanda, come dimostra il fallimento,
nel novembre del 1861, dell'impresa di José Borjes. Questi
era un avventuriero legittimista catalano mandato da Francesco II per
unificare le bande dando loro una direzione politico-militare che avrebbe
dovuto preludere ad una restaurazione per via insurrezionale. Il pericolo
per il regno unitario fu senz'altro notevole perché Borjes riuscì a
convincere i maggiori capibanda della Basilicata, primo fra tutti Carmine Crocco, ma l'inadeguatezza militare delle bande a condurre
una vera e propria campagna di guerra e l'impossibilità politica di
un'insurrezione generalizzata fecero fallire il tentativo: Crocco
riprese le sue azioni contro pattuglie isolate dell'esercito o il ricatto
contro i proprietari terrieri, Borjes venne catturato e fucilato (8
dicembre) sulla strada del ritorno a Roma. Alcuni dati possono far
intendere la consistenza del fenomeno del Brigantaggio: 388 bande
accertate con un numero variabile di componenti da 5-15 persone a 100;
13.853 "briganti" eliminati nel periodo luglio 1861-dicembre 1865. Il
nuovo stato, che temeva di dare l'impressione, sia all'interno che
all'esterno, di instabilità e debolezza, reagì duramente: i generali
inviati a ripristinare l'ordine procedettero alla distruzione di interi
paesi che avevano accolto le bande di briganti, spesso alzando bandiera
borbonica, e a fucilazioni sommarie. Dopo un'inchiesta parlamentare, che
doveva accertare le cause della rivolta e stabilire i metodi della
repressione, il parlamento votò la legge Pica
(13-VIII-1863) che sospese le libertà costituzionali nelle province
infestate dai "briganti" e ne affidò ai tribunali militari i processi. Fu
una vera e propria guerra che vide impegnati fino a 120.000 soldati e che
portò alla cattura o all'uccisione dei capi più famosi, quali Crocco, Caruso, il sergente Romano, ed alla dispersione delle maggiori bande a
cavallo. La rivolta, nel 1865, era stroncata, almeno nelle sue forme di
massa; ma nello stesso tempo questo tipo di repressione (non seguita da
misure di riforma che attenuassero le cause del malcontento dei ceti
rurali del Meridione, pur evidenziate dalla Commissione di inchiesta
parlamentare) pesò molto nel conferire all'apparato dello stato quel
carattere di struttura violentemente contrapposta alle masse che manterrà
a lungo nel tempo. |