Peligni Illustri

Dr. Antonio Baldini

Ha 43 anni, è di Raiano, potremmo dire "figlio d'arte" poiché il papà Nicasio era il medico condotto del paese. Una prestigiosa carriera universitaria e post universitaria lo ha portato negli USA dove è diventato Professore Associato di Cardiologia Pediatrica e Genetica Molecolare, presso il Baylor College of Medicine di Houston, Texas, dove ha effettuato una scoperta che sta cambiando la maniera di studiare alcune patologie cardiache genetiche dei bambini e che forse porterà alla loro prevenzione.

Egli con la moglie Elizabeth A. Lindsay e un team di ricerca del Baylor's Department of Molecular and Human Genetics, ha realizzato una sperimentazione su topi che consentirà di capire meglio e forse curare e prevenire la sindrome di DiGeorge, una malattia genetica che si manifesta con malformazioni cardiache ed altri problemi nei neonati, con un'incidenza di uno su 4000 nati. La patologia è causata dalla "delezione" (mancanza di una porzione) del cromosoma 22, che comprende circa 25 geni. Il difetto genetico risulta, in molti casi, in malformazioni delle grandi arterie (aorta e polmonare) e del cuore che riducono notevolmente l'ossigenazione del sangue. Questi difetti richiedono interventi chirurgici complicati e rischiosi, spesso nei primi mesi di vita del bambino. La malattia causa anche ritardo di crescita, disturbi psichiatrici, e molti altri problemi. L'equipe del Dr. Baldini, utilizzando una nuova tecnologia, ha riprodotto la malattia nel topo e identificato il gene responsabile della sindrome di DiGeorge, inoltre ha dimostrato che la malattia nel topo può essere "curata" se si reinserisce il gene mancante.

Di seguito riportiamo un'intervista rilasciata dal Dr. Baldini

Dottor Baldini, una scoperta importante e rivoluzionaria. Può spiegarci concretamente in cosa consiste e quali effetti avrà?

Scoprire il gene è il passo iniziale e obbligatorio per capire una malattia genetica e, magari, per curarla o prevenirla. Il caso della DiGeorge è stato particolarmente complicato. Angelo DiGeorge, un Pediatra di Philadelphia (tra parentesi, nato da genitori Abruzzesi) descrisse la sindrome quasi quaranta anni fa. Da allora molti ricercatori hanno cercato di capire l'origine di questa complicata patologia ereditaria. Circa dieci anni fa è stato scoperto che i pazienti hanno perso non uno ma 25-30 geni poiché hanno un'anomalia cromosomica, ma non si capiva quanti e quali di questi geni fossero importanti per la malattia. Il problema era troppo complesso per le tecnologie disponibili allora.

Noi abbiamo applicato, per la prima volta nello studio delle sindromi cromosomiche, una nuova tecnologia, detta ingegneria cromosomica, che permette di modificare a piacere, i cromosomi nel topo. Questa tecnologia ci ha consentito di riprodurre la sindrome di DiGeorge nel topo. Una volta creato il modello di topo, identificare il gene "importante" è stato relativamente facile.

Per capire il significato di questa scoperta bisogna tener presente che i cromosomi sono i portatori del patrimonio genetico di un organismo, e nell'uomo le anomalie cromosomiche sono responsabili di alcune tra le più frequenti malattie genetiche, come per esempio la sindrome di Down.
Fino a oggi non avevamo nessuna tecnologia a disposizione per studiare queste malattie; la nostra scoperta dimostra che l'ingegneria cromosomica è la soluzione giusta. A parte l'aspetto tecnologico del progetto, bisogna dire che il gene identificato, che si chiama Tbx1, è un "master gene" ovvero un gene che controlla altri geni.

Questo è importante perché adesso possiamo identificare i geni controllati da Tbx1 i quali, molto probabilmente, sono coinvolti in altre cardiopatie congenite.

 

Quanto tempo avete impiegato ad effettuare la ricerca e quando se ne può prevedere l'effettiva applicazione?

Stiamo studiando questa malattia da otto anni.
L'applicazione dei nostri risultati alla biologia dello sviluppo cardiaco e allo studio di certe altre cardiopatie congenite o altre malattie "cromosomiche" è immediata, ma per le applicazioni ai pazienti ci vorranno ancora anni.

 

Ritiene che le sarebbe stato possibile in Italia effettuare lo stesso tipo di ricerca?

Forse sì, in una situazione ideale con sufficienti risorse e un team come il nostro, fatto di ricercatori agguerriti e estremamente dedicati (due dei quali sono italiani, Francesca Vitelli e Tiziano Pramparo). Ma tenga presente che è stato molto difficile anche negli USA, perché le tecnologie che abbiamo utilizzato erano a uno stadio iniziale di sviluppo e non erano mai state applicate allo studio di malattie genetiche.

 

Dottor Baldini, come mai è arrivato in America?

Quando ho finito i miei studi a Roma, non ho avuto la possibilità di fare ricerca come volevo, così ho preso la valigia e sono partito.

 

Tornerà in Italia?

Si, se me ne sarà data l'opportunità.

 

Ha nostalgia dell'Abruzzo?

Naturalmente, ma torno con mia moglie (la quale ama moltissimo l'Abruzzo), una o due volte l'anno per visitare famiglia e amici. Ci piace la gente, la natura e la cucina di quelle parti!

 

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