Festa
di San Domenico
La
cattura delle serpi
Appena
dopo il disgelo, quando il tepore primaverile incomincia a scaldare
la terra, vuoi dire che è tempo, di andare per, serpi. “...
Fermati, serpe, perché devi servire per la festa di San
Domenico!" intimava Simone ad un ofide che gli attraversava la
strada un giorno del mese di Aprile del 1768. Leggendo questo
episodio riportato in un libello dell'epoca, si può avere
l'impressione che sia molto facile catturare i serpenti. In realtà
così non è. La maggior parte delle volte, infatti, dopo aver
battuto palmo a palmo la campagna, si rischia di ritornare a mani
vuote. "Non fa sosta alle soglie. Passa. E' frate del vento.
Poco parla. Sa il fiato suo tenere. Piomba. Ha branca di nibbio,
vista lunga. Piccol segno gli basta. Perché triemi il filo d'erba
capisce..." Questo è il serparo descritto da Gabriele
D'Annunzio nella tragedia "La fiaccola sotto il moggio":
un personaggio mitico che deriva la sua arte, ereditariamente, da
una antica stirpe originata dal figlio di Circe. Quei Marsi, il cui
nome vuol dire "maneggiatori di serpenti", come riferiva
Plinio il Vecchio, erano muniti di poteri magici tali da guarire i
morsicati dai rettili con il solo toccamento. Non attendibile,
eppure frequente, è l'accostamento del serparo alla dea Angizia,
divinità marsa e latina, venerata nella vicina Luco dei Marsi. Ma
i'interpretazione che connette il nome di Angizia a quello di anguis,
nome latino di serpente, è etimologicamente errata in quanto è più
proprio associare la radice dei nome della dea ai tempi stretti del
periodo primaverile, quando le scorte della precedente stagione sono
terminate e non è ancora assicurato il nuovo raccolto. Per meglio
comprendere la storia dei serpari è necessario risalire alla figura
dei "ciarallo", il personaggio che compare nella
elaborazione tardo medioevale. Chi era costui? Era una figura
sacrale di diffusione europea, ma più radicata nell'Italia
meridionale, che derivava il suo potere da trasmissione ereditaria o
da iniziazione, e che esercitava proprie tecniche segrete di cattura
e di maneggiamento degli ofidi e, parallelamente, di cura e
immunizzazione. I serpari di oggi conservano dei loro antichi
predecessori le stesse tecniche, ma il ruolo sacrale e professionale
proprio del "ciarallo" si è mutato in una forma di
devozione laica e di partecipazione al rito che è, appunto,
riappropriazione delle radici in un rapporto di rinnovato rispetto
per la natura.
Testi:
Mario
Volpe
Pasquale
D'Alberto
|