I
serpi che sfilano avvinti al simulacro del Patrono, o che sono
custoditi in sacchetti dai serpari che lo seguono, appartengono
alla famiglia dei colùbridi. Alla cerimonia non partecipano serpi
velenose. I vipèridi più comuni, a Cocullo, sono l'aspide e la
vipera Ursinii (questa pare che sia la più diffusa e la meno
velenosa, e forse proprio per questo protagonista di chi sa quanti
prodigi): come tutti i rettili velenosi, sono caratterizzate dalle
placche sulla testa grossa e cordiforme, dalle pupille verticali.
Si trovano anche esemplari di marasso, il serpente velenoso di
Gigliola, più grosso e tozzo. Le bisce più note (che si
distinguono dalle serpi velenose anche per essere generalmente
molto più grosse) sono: 1)
il cervone (elaphe quatuorlineata). Appartiene alla specie
più ricercata dai serpari ed è dialettalmente conosciuto con il
nome di «capitone». Quando è adulto ha il dorso marrone striato
con fasce longitudinali; negli esemplari giovani il dorso è
maculato. Forse è il più grande ofidio del nostro continente con
i suoi 180 centimetri di lunghezza. È mite e timido; 2)
il saettone (che qui è chiamato «serpa lattarina») non
è alieno dal succhiar latte agli animali. È lungo talora quasi
quanto il cervone, ma è più snello; 3) il
biacco viridiflàvus (la «serpa penta»: verde giallastro
con macchie dorsali nere o verde cupo) è elegante, vivace e
mordace. Non supera un metro e mezzo. Una varietà scura, per la
notevole pigmentazione, ne è il biacco carbonarius (la «serpa
nera»): anche questo è mordace, fiero e irascibile; 4) la
biscia dal collare (qui impropriamente «cervone») non
viene cercata perché, quando è afferrata, sibila emettendo dalla
cloaca un liquame puzzolente (perciò i ragazzi dicono che puzza).
Bibliografia:
"I
serpari a Cocullo" Nino
Chiocchio
Disegni:
Vincenzo
Cervone, Guglielmo
Mangili