Antonio
De Nino nacque a Pratola Peligna da padre agrimensore il 15-6-1833 e morì
a Sulmona il 1-3-1907 direttore di quella scuola tecnica. Amò la campagna
come amava i libri e seguì il babbo al lavoro portando il tascapane con
la colazione, la fettuccia metrica, il livello, lo squadro e qualche libro
per sé. Uscito dalla scuola elementare e non potendo andare in collegio
perché le condizioni di famiglia non glielo permettevano, studiò da solo
nella solitudine dei campi. Appena ventenne si ritrovò maestro a Leonessa
e poscia a S.
Demetrio ed in paese tutti si congratularono con lui e con il genitore
perché credettero che avesse realizzato il suo sogno. Ma il De Nino aveva
innata la passione per lo studio e seguitò a coltivarsi e ben presto si
acquistò il titolo di professore << onoris causa >>
e venne nominato a Rieti, dove insegnò per alcuni anni,
trasferendosi in seguito nell’ Umbria e nelle Marche, fino a quando non
sentì il richiamo della sua terra natia e potette esaudirlo ottenendo la
direzione della Scuola Tecnica di Sulmona, che mantenne fino alla morte.
In possesso di solide e cospicue attitudini letterarie, mostrò subito un
appassionato interesse per gli studi folcloristici in cui, si può dire,
profuse tutta l’attrezzatura della sua intelligenza e la facilità
sintetica del suo pensiero. Si occupò di arte, di archeologia, di
didattica, di storia e di filosofia, dimostrando sempre nei suoi scritti,
spirito critico, stile elegante. In tutta Europa all’inizio del secolo
XIX erano sorti in gran numero studiosi del folclore i quali furono
spronati alla ricerca di novelle e leggende popolari dai fratelli Grimm.
Lo studio delle raccolte delle novelle popolari, delle leggende, delle
fiabe e delle tradizioni rivelò una sintomatica concordanza tra le
novelle popolari note ai nostri giorni e quelle di popoli lontanissimi,
producendo così il desiderio di determinare l’origine e la provenienza,
il che condusse gli studiosi ad enunciare diverse teorie filosofiche. Una
di queste era patrocinata appunto dai fratelli Grimm, i quali
riconoscevano analogia ai soli racconti e leggende dei popoli indo –
europei, tutti di mistica ispirazione. E il De Nino, infaticabilmente,
ricercava, recuperava, reintegrava, catalogava il prezioso patrimonio del
folclore abruzzese, girando di paese in paese, raccogliendo dalla viva
voce del popolo racconti, fiabe, novelle e studiando gli usi, i costumi,
le abitudini delle popolazioni. Della grande quantità di materiale
raccolto in questo lavoro di ricerca si servì per scrivere sei densi
volumi sugli << Usi e costumi abruzzesi >> che venne
considerata l’opera sua di maggiore interesse. E a questa opera il D’Annunzio
attinse a piene mani per il suo lavoro poetico e nella stesura delle sue
tragedie: << La fiaccola sotto il mogio >> e << La
figlia di Iorio >>. Lo stesso Francesco Paolo Michetti trasse
potente ispirazione per le sue tele dagli scritti del nostro Grande. Il De
Nino seppe guadagnarsi la stima dei più illustri contemporanei sia della
Regione che dell’Italia tutta ed ebbe relazioni di studioso anche con
stranieri. Furono suoi ammiratori ed amici oltre che il D’Annunzio ed il
Michetti, il Barella, i Cassella, il Tosti, pure essi abruzzesi; il
Tommaseo, il Manzoni, il Guerrazzi, il Lambruschini, il Anfani, lo
Aleardi,
Isidoro del Lungo e Francesco D’Ancona, oltre agli stranieri Mommsen,
Bompois, Millingen, Schultz, Kiene. Scrisse un volumetto anche su <<
Ovidio nella tradizione popolare di Sulmona >>. Fu prezioso
collaboratore di molte riviste letterarie del tempo e si dilettò a
scrivere novelle e fiabe per i bambini di Abruzzo. Appassionato cultore
com’era, si interessò vivamente degli scavi di antiche città romane
sepolte in Abruzzo. Furono suo merito precipuo gli scavi iniziati e
portati a buon punto dell’antichissima città di Corfinium, capitale
della Lega Italica nella guerra contro Roma, e l’aver individuato
l’antica sede della città romana di << Aufidena>>. Fu lui a
far sorgere un interessantissimo museo dove raccolse il prezioso materiale
della distrutta Corfinium. Oggi gli studiosi ammirano quel poco che vi è
rimasto nella basilica di S. Pelino in Corfinio. Nella vita letteraria
d’Abruzzo egli ha lasciato una traccia profonda ed incancellabile con i
suoi laboriosissimi scritti, che costituiscono una miniera, un tesoro
ricchissimo ed inesauribile per gli studiosi italiani e stranieri che
vogliono conoscere la storia della nostra terra, i suoi usi e i suoi
costumi.
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